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La forma ironica del pensiero tra Socrate e Vladimir Jankélévitch

Di Socrate, Alcibiade ci racconta di un uomo di evidente bruttezza, dall’aspetto sgraziato con il naso camuso e occhi che sembrano usciti fuori dalle orbite; i suoi discorsi poi noiosi e terribilmente petulanti; ma ecco che improvvisamente, non appena ci si avvicina a lui, si rimane come ammaliati, inevitabilmente sedotti da quella tempesta vorticosa di domande e accade qualcosa di straordinario.

Cosa fa Socrate? Quale sarà mai l’utilità dei suoi discorsi? E’ proprio Alcibiade che riesce eccellentemente a dare una risposta nella scena del Simposio dove, totalmente travolto dall’amore possessivo e violento per Socrate, dice: “… quando ti ascolto mi batte il cuore più violentemente che se fossi trascinato dalla danza dei coribanti […] Devo, dunque, allontanarmi da lui tappandomi le orecchie come per sfuggire alle sirene […] è il solo che risvegli in me un sentimento del quale mi si crederebbe a stento capace: la vergogna di fronte ad un altro uomo; […] e spesso preferirei, credo, che non esistesse”. (Platone, Simposio, 215- e 216- b, in Opere Complete, 3, Laterza, Roma- Bari, 1984 p. 196-197).

Socrate scompiglia, mette in crisi il suo interlocutore, obbligandolo a fare i conti con se stesso, con il proprio modo di vivere e di pensare. Vive ad Atene, che fra la metà del V e la fine del IV secolo a.C., conosce il periodo del suo massimo splendore e la filosofia assume la forma di una ricerca strutturata soprattutto grazie alla fondazione di nuove scuole.

Socrate, uno dei principali protagonisti di questo rinnovamento, dedica una particolare attenzione all’uomo; egli considera la filosofia un’attività fondata sullo scambio fra individui, sull’interrogazione e sull’arte di porre domande, una ricerca permanente che non può arrestarsi né fissarsi in una forma statica.

“Conosci te stesso” è il principio da cui muove la sua indagine e l’obiettivo principe di ogni autentica pratica di ragionamento.  Esso prescrive l’auto-interrogazione, l’introspezione del soggetto come il primo momento di una ricerca comune fra gli individui. Esito di questo processo è il riconoscimento dell’ignoranza originaria dell’uomo, il quale, in questo modo, apprende di “non sapere”. A tal fine, sono due gli strumenti che Socrate utilizza in modo privilegiato: una è l’ironia, dal greco εἰρωνεία (dissimulazione), attraverso la quale egli riesce a smontare dall’interno le convinzioni del suo interlocutore, utilizzandola come strumento per far venire alla luce l’ignoranza di coloro che non ammettono di “non sapere”; l’altra, invece, è la maieutica, cioè l’arte della levatrice di far nascere i bambini, come Socrate fa “partorire” la verità dialogando con il suo interlocutore.

Essenziale, per la filosofia socratica, la capacità di far “nascere” la verità dagli uomini stessi, conversando con loro.

Nel mio lavoro di ricerca, mi è sembrato opportuno approfondire lo studio sull’ironia di Socrate facendo un parallelismo con il filosofo Vladimir Jankélévitch.

La sua figura di pensatore è, per certi versi, una figura atipica, non riconducibile ad una qualsiasi delle correnti filosofiche del “900. L’originalità del suo pensiero, pur elaborando una filosofia della condizione umana, considerata nell’orizzonte della finitezza, nella quale dominano le tematiche fondamentali della tradizione filosofica (il tempo ,la morte, la conoscenza, l’etica, ecc.), si manifesta nell’abbandono del procedere logico-deduttivo dell’argomentazione filosofica tradizionale e, soprattutto, nel richiamo a tradizioni filosofiche marginali e a categorie di pensiero – in particolare quelle del Non so che e del Quasi nulla – diffuse in un numero ristretto di autori. Vladimir Jankélévitch espone il suo pensiero in forma volutamente ironica, semiseria, umoristicamente curata e raffinata, in conformità ad una sua profonda convinzione di filosofo che l’ironia, cioè, debba “sbaragliare” la falsa pace delle false convivenze. Nell’Ironie, la sua opera principale, egli dà notevole rilievo alla figura di Socrate. “Egli stimola, tiene sulla corda gli incoscienti …, li spinge tutti in un vicolo cieco, li getta nella perplessità dell’aporia che è lo smarrimento sintomatico ingenerato dall’ironia …”  (V. Jankélévitch, L’ironia, Il Melangolo, Genova, 1987, p.22). L’ironia ci riporta sempre più in là, ci libera verso una coscienza più intensa; è un progresso e deve accompagnare ogni azione dell’uomo; deve essere, in ultima istanza un incitamento al conoscere in quanto pone gli ostacoli che la coscienza è chiamata a superare. Vladimir Jankélévitch come Socrate, si distacca da ogni verità data e il suo intento è di sostituire al trionfo dei trionfanti il dubbio e la precarietà: il dubbio sulle verità “pre-costituite”, il dubbio verso se stessi.

Un pensiero, dunque, che si oppone ad ogni filosofia che ha la presunzione di credersi infallibile e di possedere certezze e verità assolute; da qui la necessità di ricondurre alla concreta realtà ogni astrazione e teorizzazione.

Nel complesso, si può dire che egli si muove nello spirito dei grandi classici del pensiero greco e, in particolare, riprende i principi più essenziali dell’insegnamento di Socrate e di Platone. Da Socrate riceve il motivo pedagogico e filosofico dell’ironia inteso come movimento di ascensione graduale e dialettica al vero. Quello di Vladimir Jankélévitch è un pensiero che suscita dinamismo come il personaggio socratico: un pensiero che tende a liberare l’Altro, a liberarlo dalle sue forme illusorie e caduche; proprio come Socrate che, apostolo dello spirito critico, ossia dell’esame incessante e spregiudicato di sé e degli altri, attraverso la tecnica dialogica, induce a sgretolare idee e convinzioni accettate per tradizione e a rimettere in discussione tutto ciò che sembra acquisito e consacrato per metterne in luce l’inconsistenza logica.

Vladimir Jankélévitch considera la dialettica socratica una forma di dialettica, di riflessione argomentativa e costruttiva, tesa a mettere in evidenza limiti e contraddizioni di determinati modi di agire e di pensare; il dubbio socratico non è da intendere come un mero esercizio del pensiero, ma ha una funzione etico-pedagogica e la sua ironia, uno strumento di crescita culturale e morale.

Palabras clave

DIALETTICA IRONIA MAIEUTICA SOCRATE VLADIMIR JANKELEVITCH

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Hay 2 comentarios en esta ponencia

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      Manuel Bermúdez Vázquez

      Comentó el 09/12/2020 a las 13:11:45

      Me gustaría conocer más detalles de la diferencia entre la "menzogna", la mentira, y la ironía. Entre la buena conciencia irónica y la mala conciencia mentirosa.

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        Anna Maria Mannone

        Comentó el 09/12/2020 a las 18:16:20

        Intanto, è bene precisare che l'ironia, in se stessa, non è una parentesi, una epochè, ma l'ironia socratica è una scelta comunicativa che mira a mettere in discussione convenzioni e convinzioni dell'interlocutore e a creare un vuoto da cui può originarsi un nuovo processo, un nuovo momento critico- negativo di riflessione. Il gioco ironico è circonlocuzione del serio tutta finalizzata ad una intenzione anagogica che è quella del raggiungimento del fine a cui si tende. L'ironia di Socrate è un'ironia che interroga e per ciò si fa interrogazione dissimulante che ha come essenza la simulazione e come metodo l'interrogazione. Simulazione significa finzione; ma c'è finzione e finzione: c'è la finzione dell'ipocrita che si chiama menzogna, detta con l'intento di dire il falso e volta all'inganno e c'e la menzogna detta con l'intento di perseguire e testimoniare il Vero. In questo caso, la finalità della finzione è propriamente educativa e costruttiva; la consapevolezza socratica di non-sapere è fino ad un certo punto simulazione, egli simula di essere del tutto ignorante perchè, così facendo, ponendosi su un piano subalterno, è possibile avviare un dialogo. Per far questo, Socrate fa ricorso ad una forma di comunicazione indiretta; infatti, mentre una comunicazione diretta può indisporre poichè presuppone un maestro che sa e un discepolo che non sa e che, per ciò stesso, va addottrinato, una comunicazione indiretta predispone all'ascolto, in quanto, in tal caso, non è più il maestro il soggetto che sta dinanzi, ma un discepolo che è un soggetto che lungi dal possedere la verità, la cerca insieme con l'Altro. Possiamo qui notare che si va sempre più affermando un'universale promozione degli uguali alla verità: il maestro si fa allievo e gli allievi maestri, tutti quanti sono chiamati dalla stessa vocazione. La menzogna, invece, è confusione, anarchia poichè il mentitore disprezza il proprio partner o, meglio, lo tratta come una cosa, buono soltanto a servire i suoi interessi personali. L'ironia, dunque, implica il battito dialettico, il cambiamento di direzione; essa, in quanto battito o vibrazione da un estremo all'altro, si contrappone così alla cattiva coscienza che è, invece, intermediazione stagnante e non conduce l'Altro da qualche parte.

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